
Frequenti ormai le notizie di scuole in sofferenza che assurgono alla ribalta dei mezzi di informazione per gravi problemi gestionali e relazionali. Qualche situazione addirittura raggiunge le aule parlamentari, come nell’intervento proposto il 4 giugno in Senato dal senatore Verini (PD), al quale è seguita la richiesta del ministro Valditara di una rapida soluzione da parte dell’USR. Ma le situazioni portate all’attenzione dell’opinione pubblica e talvolta della politica purtroppo non sono casi isolati: da tempo un clima nocivo e conflittuale si sta diffondendo in molte scuole di tutto il Paese, conseguenza di una cattiva gestione da parte dei dirigenti scolastici. È una deriva burocratico-autoritaria le cui basi sono state poste nel 1999 con il Regolamento dell’autonomia scolastica, che ha trasformato la figura del preside in manager. La legge 107 del 2015 sulla «Buona scuola» di Renzi ha poi rafforzato ancora il suo ruolo, conferendogli maggiori responsabilità e maggiori poteri decisionali, sottratti di fatto al necessario controllo.
Quindi, a fronte di dirigenti scolastici che gestiscono democraticamente la scuola, c’è un’altra platea purtroppo numerosa che non riesce a valorizzare le risorse umane, si arrocca dietro cavilli burocratici, generando un malessere diffuso che in primis naturalmente investe chi lavora nella scuola, i docenti e spesso anche il personale ATA; quando in qualche caso esplode all’esterno fino a coinvolgere gli alunni, le famiglie ed il territorio, allora assurge agli onori della cronaca. Purtroppo, il disagio che colpisce gli insegnanti difficilmente fa notizia, ma raggiunge ampiamente le sedi sindacali in occasione delle massive domande di trasferimento: a danno della continuità didattica, tanto perseguita dal governo.
Si assiste frequentemente ad organi collegiali ridotti a mera funzione di ratifica di decisioni già prese, con continui e reiterati comportamenti antidemocratici, favoriti dalla composizione troppo numerosa (che deriva dal dimensionamento con la creazione dei mega-istituti) e favoriti inoltre da tempi sempre più ristretti se non inesistenti per la discussione, per fare spazio agli adempimenti burocratici, alla formazione, al progettificio. Ugualmente spesso nelle scuole, che dovrebbero essere esempio di legalità e di trasparenza, non vengono resi noti atti pubblici come i verbali, delibere di organi collegiali, bandi, determine etc. e non è raro che un dirigente scolastico, che dovrebbe essere “primus inter pares”, anziché impegnarsi per la valorizzazione delle risorse umane, assuma atteggiamenti autoritari attuando dispetti e ripicche personali, che minano il clima lavorativo e la collaborazione.
Quanto emerge in svariate realtà locali è la punta di un iceberg, là dove il personale della scuola e le famiglie invocano a gran voce l’intervento delle istituzioni. Ma l’esito di eventuali ispezioni disposte dagli USR non è quasi mai risolutivo, poiché vengono indagati aspetti meramente formali che non danno conto del clima all’interno dell’istituto, neanche se compromette il benessere psicofisico dei lavoratori e la tutela dell’interesse collettivo, alla quale la scuola come istituzione è delegata.
Questa è la situazione ed è destinata a peggiorare: il clima di deriva autoritaria si diffonde anche perché il mancato controllo produce una sensazione di immunità. Ecco perché la Gilda degli Insegnanti sostiene fermamente che va ripensata l’autonomia scolastica, la gestione dei dirigenti scolastici va dotata di efficaci contrappesi democratici e anche sottoposta a controllo gerarchico. Ben venga la rotazione e comunque deve essere rivisto il sistema di reclutamento, che si è palesemente dimostrato del tutto inadeguato.
Patrizia Basili
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