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GLI ESPERTI RISPONDONO

La ministra Dadone difende lo smart working: “Non è una vacanza. La PA non ha mai chiuso”

La ministra Fabiana Dadone difende lo smart working e la pubblica amministrazione, dopo le critiche ricevute: “Lo smart working non è più facile, non sono vacanze. E la pubblica amministrazione non ha mai chiuso, ha sempre garantito i servizi essenziali. Lo dico a chi fa finta di non vedere solo perché la critica fa più notizia”.

La ministra per la Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone, difende lo smart working. “Lo smart working aumenta la produttività, lo dimostrano diversi studi. I dati che abbiamo raccolto e l’assenza di problematiche rilevanti, nonostante l’organizzazione repentina, lo confermano“. E mette a tacere le polemiche: “Lo smart working è il lavoro focalizzato su obiettivi. Presuppone un cambio di passo e chiede ai dipendenti, ma soprattutto ai dirigenti, grandi capacità di organizzazione. Non è più facile, non sono vacanze“, afferma in un’intervista con il Corriere della Sera. E ancora: “Il rispetto non si insegna. La pubblica amministrazione non ha mai chiuso, ha sempre garantito i servizi essenziali ed è andata anche oltre col lavoro di medici e forze dell’ordine. Ma non solo. Sono orgogliosa dell’impegno di oltre 3 milioni di dipendenti pubblici: lo dico a chi fa finta di non vedere solo perché la critica fa più notizia“.

“Smarto working più difficile del lavoro in ufficio”

La ministra ha spiegato che si sono anche raggiunte punte del 90% per quanto riguarda le amministrazioni centrali, e oltre il 70% per quelle regionali. E cita il ministero dell’Economia per fare un esempio, raccontando che su quasi 10 mila dipendenti sono state esonerate solo 19 persone. Dadone continua quindi rispondendo agli attacchi contro la modalità di lavoro agile, sostenendo: “Lo smart working è più difficile del lavoro in ufficio, perché non tutti hanno questa flessibilità di pensiero e serve una formazione continua. Se abbiamo avuto gli stessi risultati rispetto al lavoro in ufficio, significa che il dirigente ha capito esattamente di che cosa ci fosse bisogno e il funzionario si è messo in gioco nonostante non avesse un confronto diretto con i colleghi“.

L’impatto ambientale dello smart working

In questi mesi, però, non si sono sentite esclusivamente critiche allo smart working. Molti ne hanno messo in evidenza anche i vantaggi, pur ammettendo che ci sarebbero molti aspetti da migliorare. Se le difficoltà riguardano specialmente connessione alla rete e disponibilità tecnologica, che non sono uguali per tutti, sull’impatto ambientale sembrano essere tutti d’accordo. Uno studio di Euromobility afferma che con la modalità di lavoro agile si potrebbero risparmiare circa 36 milioni di chilometri al giorno. La metà solo in auto. Si eviterebbero di conseguenza 3 mila tonnellate di Co2, 7 mila chilogrammi di ossidi di azoto e 600 di polveri sottili.

Quasi la metà degli intervistati in seno all’indagine si è ritenuta molto soddisfatta di questa esperienza, e il 37% vorrebbe continuare a lavorare in questo modo. Il 52% preferirebbe continuare a praticarlo solo per qualche giorno a settimana. Considerando la quantità di persone che aderirebbe allo smart working, sono indubbi i benefici che si otterrebbero dal punto di vista ambientale ed ecologico tagliando il traffico e le congestioni di auto e mezzi pubblici. Ma non solo, ci sarebbe anche un risparmio dal punto di vista economico (in termini di spazi e di consumi) per il datore di lavoro, e un miglioramento della qualità della vita per il lavoratore.

“Una grande opportunità”

Lorenzo Bertuccio, presidente di Euromobility, ha commentato: “Con le dovute attenzioni ai diritti e al benessere complessivo del lavoratore non v’è dubbio che il lavoro a distanza, in forma di telelavoro o smart working, rappresenti una grande opportunità per le nostre città e la nostra qualità della vita, con evidenti vantaggi energetici e ambientali, sia a livello locale sia a livello globale“. Per poi concludere: “Al netto dei nefasti effetti e conseguenze della pandemia, non c’è che da augurarsi che la “sperimentazione forzata” lasci in eredità nuovi modelli di lavoro quando l’emergenza sanitaria sarà completamente rientrata“.

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